Le prime tecniche e la xilografia
La stampa con blocchi di legno su carta avviene per impressione. L’inchiostro si deposita sul foglio per mezzo di matrici di legno sulle quali sono presenti testi o illustrazioni intagliate. Tale tecnica fu inventata in Cina. Si ritiene che l’invenzione risalga all’epoca della Dinastia Tang (618-907), anche se esistono esempi di epoche precedenti: un tessuto con disegni fantasia risalente a prima del 220 d.C. in Cina[1] e alcuni reperti scoperti in Egitto databili al VI o VII secolo.
All’epoca della Dinastia Tang uno scrittore cinese, Fenzhi, fornì per primo una testimonianza al riguardo. Nel suo libro Yuan Xian San Ji descrisse come dei blocchi di legno venissero usati per stampare un’iscrizione buddhista durante il regno dell’imperatore Zhengyuan (627-649 d.C.). Il più antico esempio di stampa con blocchi di legno è invece un’altra iscrizione buddhista risalente al periodo di Wu Zetian (684-705 d.C.), scoperta nel 1906 a Tubofan, nella provincia cinese dello Xinjiang, ora conservata al museo della calligrafia di Tokyo (Giappone).
Il più antico libro stampato vero e proprio di cui si abbia notizia è una traduzione cinese del Sutra del Diamante, un’opera buddhista; si tratta di un rotolo di sei fogli di carta lungo più di cinque metri. Il colophon riporta la data di realizzazione (secondo il nostro calendario, l’848 d.C.) Una recente scoperta in una pagoda coreana potrebbe aver portato alla luce un testo buddhista ancora più antico, datato 750-751 d.C. Nella storiografia moderna cinese, la stampa è considerata una delle quattro grandi invenzioni dell’antica Cina. In un memoriale del 1023, all’epoca della Dinastia Song, si legge che il governo centrale, per stampare le banconote, utilizzava lastre di rame e, ugualmente, venivano impiegati blocchi di rame per stampare i numeri e i caratteri su di esse. Anche durante la Dinastia Jīn (1115-1234) fu usata la medesima tecnica, che nel tempo era stata migliorata, per stampare banconote e documenti ufficiali; esempio di questa tecnica è una sorta di assegno stampato risalente all’anno 1215.
La xilografia si diffuse anche in Europa, dove dal XIV secolo divenne di uso comune per stampare fantasie sugli abiti; le immagini stampate su abiti per scopi religiosi erano molto grandi ed elaborate. Quando la carta divenne relativamente facilmente reperibile, intorno al 1400, il metodo della stampa iniziò ad essere impiegato anche su carte da gioco, oltre che per riproduzioni artistiche e religiose. Queste stampe cominciarono ad essere riprodotte in grande quantità negli anni Venti del Quattrocento. Fra le più antiche xilografie oggi esistenti, una delle più note, anche per motivi religiosi, è quella della Madonna del Fuoco di Forlì.
Il più antico testo che parla di legni incisi è il “Trattato della pittura o libro dell’arte” dell’italiano Cennino Cennini del 1437.
Verso la metà del Quattrocento, i caratteri mobili diventarono un’alternativa più economica rispetto alla stampa con blocchi di legno. La loro introduzione nel mondo della stampa, dovuta al tedesco Johannes Gutenberg, portò una rivoluzione nella stampa e nella produzione e diffusione dei libri.
La stampa a caratteri mobili
La stampa a caratteri mobili sarebbe stata inventata nel 1041 dal cinese Bi Sheng. L’invenzione presentò un difetto: essendo fatti di argilla, i caratteri si rompevano molto facilmente. Wang Zhen, un funzionario, nel 1298 introdusse un tipo più resistente di caratteri, ottenuti intagliando del legno, e sviluppò un complesso sistema di tavole girevoli e associazioni tra numeri e caratteri cinesi che miglioravano la resa qualitativa.
La transizione dai caratteri in legno a quelli in metallo venne attuata in Corea durante la dinastia Goryeo, e fu attribuita a Chae Yun-ui. Si ha notizia di libri stampati con caratteri mobili in metallo in Corea fin dal 1234, anche se il testo completo più antico esistente è del 1377. In Cina i caratteri mobili in metallo vennero introdotti solo nel 1490 da Hua Sui. Da quella data in Cina vennero usati caratteri mobili sia in legno che in metallo.
La tecnologia impiegata in Asia potrebbe essersi diffusa in Europa attraverso le vie commerciali per l’India o per il mondo arabo, ma non si ha alcuna prova o testimonianza che Gutenberg (inventore della stampa a caratteri mobili nel mondo occidentale) possa esser stato a conoscenza dei caratteri mobili usati in Corea. Alcuni autori hanno avanzato questa ipotesi e, sulla base del fatto che i caratteri mobili nella stampa in Asia risalgano al 1234, si domandano se non ci sia stata una trasmissione del sapere tra il mondo orientale e l’Occidente
Johannes Gensfleisch zum Gutenberg, tedesco di Magonza, introdusse verso la metà del XV secolo una nuova tecnica di stampa. Collaborarono con Gutenberg il mercante Johann Fust e Peter Schöffer, che lo aiutarono ad implementare la sua invenzione. La stampa a caratteri mobili utilizzata in Oriente, basata molto sul lavoro manuale, cesserà praticamente di esistere dopo l’introduzione della tecnica di Gutenberg in Cina nel XIX secolo.
In Oriente i caratteri mobili furono inizialmente realizzati e in legno e solo in un secondo tempo in bronzo. Gutenberg utilizzò solo metalli, in particolare il ferro e l’acciaio, ancora più duri del bronzo. Nelle fucine della Renania e dell’Alsazia la lavorazione del ferro, e dell’acciaio, era ben conosciuta e non fu difficile per Gutenberg apprenderne la tecnica. Con l’innovazione di Gutenberg la stampa è diventata una tecnica basata sul metallo: i libri si realizzano nelle officine, un ambiente totalmente diverso rispetto agli scriptoria.
Il fulcro della stampa a caratteri mobili, l’oggetto attorno al quale ruota tutto il procedimento, è il punzone. Il nucleo dell’arte della stampa sta nella sua fabbricazione e nei successivi passaggi alle matrici e ai caratteri
Il punzone è un sottile parallelepipedo sulla cui testa è inciso in rilievo e a rovescio un segno tipografico; è fatto dell’elemento più duro conosciuto ai tempi di Gutenberg: l’acciaio. Il punzone, martellato a caldo, crea la matrice, dentro la quale vengono fusi in piombo i caratteri. Vi è una matrice per ciascun segno grafico (lettere, numeri, segni d’interpunzione, ecc.)
Dopo essere stati inchiostrati, i caratteri vengono messi a contatto (attraverso una pesante pressa) con la carta, imprimendola d’inchiostro. All’inizio e alla fine del procedimento di stampa vi sono quindi due azioni fondamentali:
creazione del tipo di carattere. È in assoluto la parte più complessa del lavoro nonché quella che richiede il maggiore investimento economico. Per ogni segno tipografico va realizzata una matrice. Esistono una cinquantina tra lettere, numeri e segni di punteggiatura. Il numero iniziale va moltiplicato per tre: maiuscolo, minuscolo e maiuscoletto. Poi, i primi due devono avere sia il tondo che il corsivo. Il risultato finale va moltiplicato per tanti corpi, dalla dimensione più grande (per fare il titolo del libro) alla dimensione più piccola (per le note);
impressione sul foglio. Gutenberg realizzò degli inchiostri a base oleosa, come una specie di vernice; constatò che avevano un effetto più duraturo rispetto agli inchiostri a base acquosa utilizzati precedentemente.
La fase centrale del procedimento è la composizione, ovvero la messa in fila dei caratteri a comporre le parole. Il procedimento è rimasto uguale a se stesso per quattro secoli, fino alla seconda metà del XIX secolo (invenzione della linotipia).
Avendo lavorato come orefice, Gutenberg possedeva già delle conoscenze riguardo alla lavorazione e l’uso dei metalli. Fu il primo ad impiegare una lega di piombo, stagno e antimonio, che era essenziale per produrre caratteri duraturi per stampe di alta qualità. Per arrivare a questa lega, Gutenberg seppe creare una matrice con finiture molto precise. Ispirandosi ad un torchio per l’uva, inventò anche la prima pressa per la stampa. Dopo un anno di sperimentazioni, stampò il primo libro con la tecnica da lui inventata. È ancora oggi la sua opera più famosa: la Bibbia di Gutenberg. La lavorazione venne ultimata il 23 febbraio 1455 con una tiratura di 180 copie.
Le tipografie e le innovazioni dal XVIII al XIX secolo
Le prime tipografie all’epoca di Gutenberg venivano gestite dai “maestri tipografi” o “mastri tipografi”. Essi erano artigiani e commercianti insieme: proprietari dell’officina, acquistavano in proprio la carta e creavano i caratteri (le matrici invece potevano essere anche acquistate da terzi). Selezionavano i manoscritti da stampare ed apportavano le dovute modifiche al testo. Determinavano la tiratura delle copie, infine vendevano in proprio i lavori organizzando la distribuzione.
Alla fine del XVIII secolo furono apportati molti cambiamenti nelle tecniche grafiche e nei materiali utilizzati: Bewick sviluppò un metodo di incisione xilografica utilizzando il legno di testa, cioè in senso perpendicolare alla vena, e non di filo come era stato fatto fino ad allora. Per questa tecnica, Bewick, introdusse l’uso dei bulini, i medesimi impiegati per l’incisione dei metalli. Senefelder inventò la litografia. Bryan Donkin sviluppò un’applicazione commerciale della macchina di Fourdrinier e inventò il rullo inchiostratore. Nei primi anni del XIX secolo Stanhope, George E. Clymer, Koenig ed altri introdussero nuovi modelli di apparecchi tipografici, che superavano in efficacia qualunque strumento precedentemente noto. Nel 1814 il motore a vapore fu introdotto per la prima volta nella tipografia; il «Times» è il primo ad essere stampato con l’ausilio della macchina.
Storia della fotocopiatrice
La fotocopiatrice o fotocopiatore è una macchina in grado di effettuare copie di documenti cartacei per mezzo di tecniche ottiche/fotografiche. Le copie ottenute sono dette fotocopie.
Il processo di fotocopiatura attualmente usato fu introdotto dalla Xerox Corporation, negli anni sessanta e nell’arco di venti anni ha progressivamente reso obsolete le vecchie tecniche di duplicazione con carta carbone, ciclostile e altri processi precedentemente in uso.
Prima dell’invenzione della fotocopiatrice infatti erano disponibili altri processi che consentivano di duplicare documenti, ma in genere si basavano su procedimenti chimici a base acquosa che impiegavano tempo, inoltre le copie dovevano essere lasciate asciugare.
Inoltre, spesso l’originale doveva essere preparato appositamente, utilizzando inchiostri speciali o trasferendo l’immagine su lastre di vetro. L’introduzione della xerografia ebbe il vantaggio di produrre copie in brevissimo tempo, a basso costo e a partire da qualunque originale, che non viene danneggiato nel processo.
A una macchina fotocopiatrice può essere abbinato un fascicolatore, un piegatore ed una pinzatrice.
Nell’800 James Watt inventò una macchina per la copiatura, precursore delle fotocopiatrici.
Nel 1937, invece, fu l’italiano Ferdinando Meomartini – esperto di legislazione e burocrazia automobilistica – a proporre alle autorità competenti all’immatricolazione degli autoveicoli di sostituire alle copie degli atti (che fino ad allora erano compilate e autenticate a mano dal notaio), le fotografie dei documenti di proprietà, di acquisto o vendita delle autovetture, evitando così i lunghissimi tempi di attesa. La sua proposta, sebbene non accolta, anticipava di decenni il ciclostile e la fotocopiatrice.
Il processo attualmente più diffuso, basato sulla xerografia, fu inventato da Chester Carlson, un avvocato dell’ufficio brevetti di New York e inventore nel tempo libero. Nel suo lavoro Carlson doveva spesso copiare documenti a mano, e soffrendo di artrite trovava la cosa tediosa e causa di dolori. Ciò lo indusse a studiare nuovi metodi di copiatura, in particolare basati sulla fotoconduttività. Egli lavorò nella sua cucina di casa e nel 1938 poté brevettare un processo. La prima “fotocopia” fu fatta usando una lastra di zinco ricoperta di zolfo. La parola “10-22-38 Astoria” era scritta su un vetrino di microscopio collocato sopra lo strato di zolfo e sotto una intensa sorgente di luce. Dopo avere rimosso il vetrino, un’immagine speculare della scritta rimase incisa sulla lastra.
Carlson cercò di vendere la sua idea ad alcune aziende, ma poiché il processo non era ancora del tutto sviluppato, fallì nell’impresa. All’epoca, per effettuare copie venivano già usate la carta carbone e altre macchine duplicatrici, e non era sentita la necessità di una macchina copiatrice elettronica.
Tra il 1939 e il 1944 Carlson contattò molte aziende tra cui IBM e General Electric, ma entrambe non ritenevano che esistesse un sufficiente mercato per le fotocopiatrici.
Nel 1944 il Battelle Memorial Institute, un’organizzazione non-profit di Columbus nell’Ohio, supportò Carlson nel perfezionamento del nuovo processo. Nei successivi cinque anni l’istituto condusse esperimenti per migliorare la tecnica elettrofotografica. Nel 1947 la Haloid, una piccola azienda di New York specializzata nella produzione e vendita di carta fotografica, contattò il Battelle per ottenere la licenza per lo sviluppo e il commercio di macchine copiatrici basate sulla nuova tecnologia.
La Haloid ritenne che il nome elettrofotografia (electrophotography) fosse troppo complesso e di scarso richiamo commerciale. Dopo avere consultato un professore di lingue classiche all’università statale dell’Ohio, la Haloid e Carlson cambiarono il nome del processo in xerografia (xerography), formata da parole greche e con il significato di scrittura a secco, per sottolineare la comodità rispetto ai sistemi precedenti. La Haloid decise di chiamare le nuove macchine copiatrici Xerox e nel 1948 registrò il nome come marchio commerciale.
Nel 1949 l’azienda da ora nota come Xerox introdusse la prima macchina fotocopiatrice con il nome di Modello A. L’azienda ebbe un tale successo che nel mondo anglosassone il nome divenne di uso comune per indicare la fotocopiatura (Xeroxing) anche se la cosa fu combattuta dall’azienda che temeva che il nome Xerox potesse diventare un marchio generico. La parola Xerox apparve in alcuni dizionari come sinonimo di fotocopiatura, il che indusse la Xerox corporation a richiedere che la voce fosse modificata e la parola non fosse più utilizzata in tale senso.
In Europa i termini riconducibili al marchio Xerox sono meno comuni, probabilmente per il fatto che qui si diffusero fotocopiatrici prodotte da aziende europee e giapponesi invece di quelle di Xerox.
Nei primi anni cinquanta la RCA introdusse un processo chiamato elettrofax in cui le immagini venivano impresse direttamente su speciale carta opportunamente trattata e sviluppata per mezzo di toner disperso in un liquido.
Successivi miglioramenti nella tecnologia elettrofotografica portarono progressivamente all’attuale sistema basato su un cilindro fotosensibile su cui viene creata un’immagine elettrostatica ad alto contrasto, sviluppata e trasferita su carta per mezzo di una polvere pigmentata a base di materiali resinosi chiamata toner, successivamente riscaldata e fusa sulle fibre del foglio.
A partire dagli anni novanta iniziarono a diffondersi macchine copiatrici in cui il processo xerografico è sostituito da un sistema di scansione e successiva stampa con stampante a getto d’inchiostro, a trasferimento termico o laser.
La stampa contemporanea
Oggi libri e giornali sono stampati usando in prevalenza stampa offset, rotocalcografia, flexografia. Altre tecniche comuni includono:
- Rilievografia
- Flexografia usata per le confezioni (packaging), le etichette, i giornali.
- Tipografia utilizzata (sempre meno) per stampe a livello artistico (partecipazioni di nozze).
- Permeografia
- Serigrafia usata in molti ambiti, dalle magliette alle piastrelle. La serigrafia può addirittura utilizzare il cioccolato come inchiostro (Cosa possibile anche con alcuni tipi di stampante 3D).
- Incavografia
- Rotocalcografia usato soprattutto nelle riviste e nelle confezioni.
- Non impact
- Getto di inchiostro usato tipicamente per stampare poche copie di libri.
- per creare “prove colore” ovvero per simulare la stampa offset prima di effettuare un lavoro.
- in sempre più forte concorrenza con la Serigrafia, nelle stampe di grande formato (manifesti, applicazioni esterne, adesivi per autobus). Infatti si parla (erroneamente a livello tecnologico) di “Serigrafia Digitale”.
Stampa laser usata:
- nelle comuni stampanti da ufficio.
- per stampe di documenti relativi transazioni (documenti bancari, bollette) dove arriva a tirature anche di migliaia di pezzi.
- è utilizzata dalle poste e da aziende private per creare intestazioni variabili su lettere, coupon o dépliant.
Tecniche di stampa:
Stampa tipografica
La stampa tipografica è un metodo di stampa che prevede l’utilizzo di caratteri a rilievo che vengono impressi su una pagina. La stampa può essere inchiostrata o meno, ma è solitamente fatta con un solo colore. Motivi o disegni possono essere aggiunti, oltre ai caratteri, in quanto solitamente i torchi utilizzati utilizzano piatti mobili che devono essere sistemati manualmente.
Stampa a rilievo
La stampa a rilievo è una tecnica utilizzata per creare una superficie rialzata nel foglio. Il processo si basa su matrici che sagomano la carta in una forma che può essere osservata sia sul fronte che sul retro.
Incisione
L’incisione è una tecnica utilizzata per creare dislivelli in un piano di materiale duro, che poi viene inchiostrato e utilizzato come matrice. Il risultato è un disegno che è leggermente in rilievo rispetto alla carta e coperto di inchiostro. A causa del costo del processo e delle tecnologie richieste, in questi anni questa tecnica è stata sempre più sostituita dalla stampa termografica, un processo che crea un simile disegno in rilievo, ma attraverso mezzi diversi e a minor costo.
Termografia
È un processo che include vari passaggi ma che può comunque essere inserita in un processo manifatturiero di basso costo. Il processo prevede la stampa del disegno o testo desiderato con un inchiostro che rimane bagnato, invece che asciugare a contatto con la carta. La carta è poi spolverata con una polvere di polimeri che aderisce all’inchiostro. La polvere in eccesso è rimossa (o con aspiratore o agitando il supporto), e poi la carta viene portata vicino alla temperatura di autocombustione. L’inchiostro bagnato e i polimeri si legano e asciugano, e come risultato si ha una superficie stampata in rilievo.
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